La Madonna addolorata ha il viso triste, ma dolce, proprio di chi sa vedere la vittoria del bene sul male. Spille d’oro, braccialetti e catenine, sono un grumo di luce che risalta sullo sfondo del manto nero del lutto, a testimoniare sia la devozione dei campesani che il significato profondo di quel dolce volto.
La gente di Campese si è raccolta attorno a questa immagine nei giorni della festa, la sagra paesana che ha origine dalla memoria liturgia della Madonna addolorata e dalla festa dell’Esaltazione della Santa Croce, che dà il titolo alla chiesa parrocchiale.
Si tratta di secoli di storia e di pietà popolare, che ogni anno si concentrano nei giorni della sagra, come per risvegliare l’impegno di una continuità devozionale e la coscienza di aver ereditato un patrimonio storico e artistico di notevole valore.
Un patrimonio di cultura e fede
Qui la memoria storica deve risalire fino all’anno Mille, quando la pieve di San Martino, la chiesetta di stile romanico dedicata al santo che ha saputo dividere il suo mantello con il povero, era il riferimento per tutta la destra del Brenta percorrendo la Valsugana fino a Cismon e su fino a Foza. Poi sono arrivati i monaci benedettini, guidati dall’abate Ponzio di Cluny, che nel 1124 costruiscono la chiesa e il monastero, che per molti secoli formeranno il più importante centro religioso, culturale ed economico del Canale di Brenta. Nel 1500 risiede qui il monaco Teofilo Folengo, che con il nome di Merlin Cocai firma le sue notevoli opere scritte in latino maccheronico.
È notevole sapere che nel primo vero atlante moderno, il Theatrum orbis terrarum (“Teatro del mondo”) del 1608, si trova indicato il paese di “Campese oue è sepulto Merlino”, luogo “la cui fama all’Occidente / e a Termini d’Irlanda e del Catajo / stende il sepolcro di Merlin Cocaio”. L’annotazione è riportata da Angelo Chemin nel suo ricco libro Campese, storia del territorio, ed è come una sferzata di orgoglio.
Ad aprire la chiesa, ogni mattina, ci pensano i volontari
È il sano orgoglio di un paese ricco di storia e di devozione che ha dato avvio a una iniziativa importante e significativa, pur nella sua semplicità: tenere aperta la chiesa, rendere accessibili i luoghi del monastero carichi di storia, organizzare la visita alla tomba di Teofilo Folengo, che è sempre stata meta di studiosi e cultori della sue opere: nell’archivio parrocchiale c’è l’autografo di Giosué Carducci, che qui è venuto agli inizi del Novecento.
Il comitato di quartiere ha preso l’iniziativa, ha sentito il parere del consiglio pastorale e dei sacerdoti dell’unità pastorale, e ha coinvolto il paese organizzando dei turni di due persone, che ogni giorno, dalle 9 alle 11, sono presenti in chiesa.
«Abbiamo avuto una buona risposta da parte di molti nel paese – sottolinea soddisfatto il presidente del comitato di quartiere, Antonio Brandi – adesso occorre andare avanti, rendendo tutti più consapevoli della ricchezza culturale e di fede che abbiamo ricevuto. È un patrimonio che vogliamo amministrare bene».
Questo dinamismo che parte dai laici è quanto la chiesa si aspetta. Un paese che viene spinto a fare comunità attorno al bello, al giusto e al buono, è la strada giusta da percorrere.