APERTURA DELLA DOMUS OPERA
8 luglio 2022 – Cattedrale di Padova
Mi unisco ai ringraziamenti che sono stati rivolti a tutti voi che siete presenti e soprattutto a chi ha collaborato. Vorrei aggiungere un pensiero per la parrocchia della Cattedrale, per il parroco ma anche chi rappresenta la comunità, anche se piccola, che si raduna in questa grande chiesa e che alla quale è affidata la custodia di grandi opere che riguardano non soltanto la Cattedrale, ma che riguardano tutta la nostra città e tutta la Chiesa.
In genere chi frequenta le parrocchie sono persone semplici, normali, come me, come tutti noi quando viviamo nel nostro privato e togliamo i nostri vestiti e diventiamo come tutti e perciò bisognosi di relazioni, di amicizie, di solidarietà. Il fatto che ci sia una comunità nella Cattedrale è forse l’elemento più prezioso, vivente, che si è trasmesso di generazione in generazione a partire da quei secoli iniziali dei quali il prof. Magani ci ha parlato.
Poco fa il fotografo Giorgio Boato mi ha fatto vedere due fotografie e mi ha detto: «Guarda in queste fotografie cosa si vede soltanto alzando la testa». Hai usato queste parole “alzando la testa”, e in effetti entrando in questo Battistero c’è da fare questa fatica, di alzare la testa e di alzarla bene perché si è portati a guardare verso la parte più alta. Guardare verso l’alto. D’altra parte noi viviamo il nostro tempo che ci costringe ad avere relazioni e ad avere a che fare con il basso. Non è una brutta cosa perché Gesù si è abbassato nella nostra condizione. Nelle scene pittoriche del Battistero si vede che Gesù ha a che fare con zoppi, con ciechi, con sordomuti, ha a che fare con quanto c’è di male nella vita, dovuto non soltanto alla cattiveria, ma anche alla fragilità della natura, della Creazione. E Gesù ha vissuto in mezzo a noi. I nostri pensieri, in questi giorni, sono come travolti da situazioni molto difficili, a partire dalla tragedia della Marmolada con quanto si aggrega del cambiamento climatico, dell’innalzamento della temperatura, con queste preoccupazioni che riguardano la nostra madre Terra di cui noi siamo tutti insieme, come cittadini, custodi. Però c’è anche l’avventura della pandemia dalla quale non ne siamo ancora del tutto usciti, anche se ci hanno detto di sì, ma qualcuno di noi porta ancora la mascherina dove ritiene sia opportuno. Poi ci sono tutti i risvolti dovuti alla guerra in Ucraina con tutte le conseguenze a livello economico, quello che succederà in settembre, le ricadute che ci saranno nei Paesi più poveri, soprattutto. Questo vuol dire guardare in basso, in senso bello, ossia guardare tra di noi, guardare la nostra vita, la concretezza, e mi sembra molto importante allora entrare nel Battistero.
Condivido quello che ha detto don Gianandrea: penso che celebrare un battesimo in quel Battistero, semplicemente entrando, faccia comprendere molto di più cosa significhi quel gesto, quell’atto che noi compiamo. Intanto noi, con le nostre povertà, con le nostre fatiche, siamo portati a guardare verso l’alto. A me sembra che questo sia un modo per stare vicini a quelli che stanno facendo fatica e che, guardando verso l’alto, vedono una speranza, una strada, la gioia di poter dire: «Supereremo queste fatiche».
Guardare verso quell’alto vuol dire trovare coraggio per lottare contro le insufficienze che le nostre attività umane, le nostre politiche internazionali o le nostre economie possono produrre. Trovare coraggio perché non tutto si risolve qui nel basso. E questo penso sia per noi cristiani anche un invito ad essere educatori, non soltanto di competenze, ma anche di spirito, di una ricchezza interiore che rende noi uomini e donne.
Oggi vivo questo evento come l’azione di mettere in una vetrina, sotto la luce dei riflettori, una perla che abbiamo da tanto tempo ma che forse non avevamo mai valorizzato abbastanza.
Se nel nostro cammino educativo mettiamo soltanto le cose brutte ci abituiamo a discernere e a valutare soltanto le cose brutte; pensate il contributo che può essere dato invece se ci educhiamo alla bellezza, a vedere qualche cosa di bello, a credere che c’è il bello. E se anche per un po’ di tempo, come diceva santa Teresa di Lisieux, vediamo le nuvole, sappiamo che dietro c’è il sole e prima o poi tornerà a splendere. Con questa certezza noi possiamo continuare ad affrontare le nostre giornate.
Concludendo, guardo all’architettura del Battistero: oltre al quadrato che ricorda il nostro essere su questa terra, la nostra umanità, c’è anche il cerchio, la sfera, verso cui noi guardiamo, da cui prendiamo ispirazione, prendiamo forza. Forse visitando il Battistero impariamo ad attendere: in un tempo di consumo immediato di tutto, educhiamoci a saper attendere e a sperare in ciò che è bello, perché quello dà forza alla nostra vita.
Grazie a tutti per essere venuti e buona visita.
+ Claudio Cipolla