DEDIZIONE DEFINITIVA DI SIMONETTA GIRALDIN TRA LE COLLABORATRICI APOSTOLICHE DIOCESANE
9 ottobre 2021 – Basilica Santa Giustina, Padova
Omelia
Entrando, sentivo ancora il profumo della festa di santa Giustina che abbiamo celebrato soltanto due giorni fa. La celebrazione di questa sera la sento come un’estensione di quella festa, perché santa Giustina è per noi di Padova tra i fondatori della nostra Chiesa diocesana, una donna sulla cui storia, sul cui martirio, sulla cui fede abbiamo costruito la nostra esperienza padovana. Allora è bello in questa sede e in questa circostanza pensare alle donne che in mille modi hanno servito, lungo tanti secoli, la Chiesa del Signore che vive in Padova, alcune di loro in modo esplicito, come questa sera Simonetta; ma quante altre hanno servito e ancora si mettono al servizio delle nostre parrocchie e nelle nostre realtà.
Per me questo è un appuntamento in cui pregare il Signore perché sappia benedire tutte quelle donne che hanno fatto tanto per la Chiesa, soprattutto per i poveri, le famiglie, i bambini, gli ammalati, e tutti quei piccoli servizi che le donne rendono spesso nelle nostre chiese. Questa sera si aggiunge a questo elenco, dandogli visibilità, Simonetta, che dedica di fronte a voi e a me la sua vita al Signore e alla Chiesa. È una cosa straordinaria vedere come il Signore renda possibile quello che a noi sembrerebbe a volte impossibile; come dia un senso profondo, che si radica nella storia della nostra Chiesa, a un gesto compiuto da una di noi. Perciò, insieme rendiamo grazie al Signore anche per questa dedizione definitiva di Simonetta alla Chiesa del Signore che è in Padova.
In questo ci aiuta anche il vangelo che abbiamo ascoltato che ci fa capire come mai una donna – potrebbe essere anche un uomo –, a un certo punto possa osare un passo che sembrerebbe superiore alle proprie forze. Noi uomini e donne con le nostre forze siamo solitamente orientati a guardare al provvisorio, a dedicarci per un po’ di tempo, a impegnarci magari per qualche anno, sempre però restando padroni di noi, delle nostre decisioni, delle nostre scelte. Invece, con un passo così pubblico, ecclesiale, Simonetta esce da sé impegnandosi e legandosi alla Chiesa diocesana. Da dove viene questa forza? Come è possibile dare questo spazio al Signore?
Il vangelo che abbiamo ascoltato mi sembra molto simile, per una certa dinamica, al vangelo di domenica scorsa in cui i farisei, per mettere alla prova Gesù, chiedono se sia lecito ripudiare la propria moglie. Gesù risponde chiedendo quale fosse la prescrizione data da Mosè.
Anche nel brano odierno Gesù viene interpellato, non in termini polemici, questa volta. Gli viene chiesto che cosa si debba fare per avere la vita eterna. E Gesù anche in questo caso domanda che cosa ci sia scritto nei comandamenti. Mosè e i comandamenti sono riferimenti a norme e regole che sono state date. Di fronte a questi comandamenti, Gesù domanda come era in origine, quale era il vero pensiero di Dio, perché le regole sono state date per la nostra limitatezza. Infatti, nel vangelo di domenica scorsa si legge: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione, Dio…» (Mc 10,5s.) e poi continua la riflessione. Gesù riporta all’inizio. Questo “andare all’inizio” significa tornare alla nostra “personale creazione”, cioè alla nostra vocazione, quando il Signore ci ha chiamati alla vita e alla fede. Quando il Signore ci ha chiamati alla fede in Gesù, che disegno aveva per noi? Se siamo qui, ovviamente, una certa risposta positiva c’è stata. Gesù ci riporta all’origine, alla nostra vocazione!
Nel vangelo di oggi, a quel tale Gesù fa un invito che assomiglia a quella domanda, perché Gesù fissò lo sguardo su di lui; “fissare lo sguardo” è entrare nella profondità della vita, «lo amò e gli disse: “Una cosa ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; e vieni, seguimi”» (Mc 10,21). All’inizio della nostra storia di uomini e donne c’è questo “vieni e seguimi”. All’origine c’era questo, non l’osservanza dei soli comandamenti. Perché quelli ci sono stati dati soltanto per aiutarci, per segnare degli argini al fluire dei nostri entusiasmi, delle nostre considerazioni, delle nostre tensioni… ma non è questo l’importante. All’origine, all’inizio della nostra vocazione di cristiani non ci sono le regole ma un incontro con il Signore, il suo sguardo su ciascuno di noi, e una sua parola: “Vieni e seguimi”.
La nostra risposta non può che coinvolgere tutto noi stessi e non può nascere dall’osservanza di norme, di regole, di comandamenti o di precetti. Nasce dal sentire nei propri occhi lo sguardo del Signore, nel sentirsi amati: «Fissò lo sguardo su di lui e lo amò». Quando parliamo di amore, le risposte vengono dal cuore e chi si sente amato risponde come nessuno ha mai fatto. La nostra risposta è sempre nuova, personale; è la “mia” risposta; può somigliare a quella di altri ma ha sempre qualcosa di particolare perché è la “mia” risposta all’amore del Signore per me. È perciò una risposta libera, perché non ripeto semplicemente quello che hanno fatto gli altri. È una risposta creativa.
È facile fare quest’esempio perché tanti di voi avranno avuto dei figli. Come si fa a non voler bene a un figlio? Si possono leggere tanti libri ma soltanto il genitore sa come voler bene al proprio figlio in un determinato momento. A volte sarà rimproverando, altre accarezzando; una volta sarà cucinando il suo piatto preferito, un’altra volta intuendo una parola buona per quel momento. Sono importanti i silenzi, altrettanto gli sguardi: si comunica con tutto quello che noi siamo. E così è anche la risposta di amore al Signore: non è una regola, non è un libro che abbiamo imparato, è qualche cosa di estremamente nuovo e per ciascuno è nuovo in ogni occasione.
Simonetta ha intuito che il suo modo per rispondere sia quello di mettersi a disposizione della Chiesa, che sa essere amata dal Signore. Non c’è niente di straordinario e di particolare; una collaboratrice apostolica diocesana vede che il Signore vuole bene non soltanto a lei come persona, ma ama la sua Chiesa, la Chiesa particolare che si riunisce la domenica con il vescovo, i presbiteri, i diaconi, tanti battezzati, che è convocata in questo luogo. È il mistero della Chiesa “una, santa, cattolica, apostolica” che in questo momento è qui. E Simonetta vede che il Signore le vuole bene e risponde inserendosi in questo flusso di amore. E perciò si fida, si fida del Signore e si fida di noi. Questa credo sia una delle forme di povertà.
Posso rivelarvi un piccolo passaggio che abbiamo avuto nel guardare gli Statuti: qualcuna esprimeva la preoccupazione riguardo alla possibilità della venuta di un vescovo che non sostenga le collaboratrici. Certo, l’obbedienza è una forma grandissima di povertà. E se viene un vescovo che non vi sostiene se ne pagheranno le conseguenze, magari piangendo. Ma voi rimanete in questa certezza che il Signore vuole bene alla Chiesa, e se ci fosse anche un vescovo che non vi capisce, voi resterete ugualmente fedeli alla Chiesa, perché la vostra identità è innanzitutto quello sguardo che il Signore ha avuto su di voi. Quell’amore e quello sguardo che ha trasmesso a ciascuna di voi. Dico questo non tanto per osannare, quanto per provocare tutti noi cristiani, perché tutti siamo sotto lo sguardo del Signore, tutti noi dobbiamo tornare a quel momento nel quale siamo stati chiamati, sempre. L’Eucaristia che celebriamo ogni domenica è per tenere vivo questo legame tra noi e il Signore, riguarda noi battezzati.
Voi vedete che la Chiesa sta cambiando, anche la società sta cambiando, così come l’adesione alla fede cattolico-cristiana si sta modificando. Ma in questo cambiamento noi dobbiamo percepire la grazia del Signore che ci porta a rispondere non soltanto ai comandamenti e ai precetti, ma a vivere nello Spirito, a essere vivi nel cuore, a vivere quella vitalità che ha portato lo sguardo di Gesù a posarsi su di noi e a trasmettere l’amore del Padre e il suo. In questo dobbiamo restare e ritornare vivi. Non sono importanti i numeri, quanti siamo oggi in chiesa, ma è importante il cuore, che rende quell’assemblea esperienza del mistero di Dio.
Adesso ascoltiamo le parole con le quali Simonetta si impegna di fronte a tutti noi, vediamo dentro a queste parole la sua storia, la forza del Signore che rende possibile anche l’impossibile; lo sguardo iniziale che il Signore ha posato su Simonetta ma che altrettanto intensamente si è posato su ciascuno di noi. E nella dedizione alla Chiesa del Signore che è qui in Padova, sentiamoci come interpellati a dedicarci anche noi, nel matrimonio, nella testimonianza personale, nei posti di lavoro, in casa, alla Chiesa che appartiene al Signore e che vive qui e di cui noi siamo tutti componenti necessari, cercati, importanti per la testimonianza di fede in questa Chiesa.
+ Claudio Cipolla, vescovo