FESTA DI SAN LUCA
Basilica Santa Giustina, 18 ottobre 2022
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Omelia
Un cordiale saluto a tutti i catechisti e le catechiste che guardano a san Luca come modello del loro servizio.
Con i catechisti saluto anche gli iconografi che scrivendo le icone parlano del vangelo e lo annunciano. La loro arte è mossa dalla loro fede e scrivono nella preghiera.
Voi qui presenti siete oggi voce della Chiesa di Padova e di tutta la Chiesa che si unisce alla comunità monastica di Santa Giustina per lodare il Signore per il dono dell’evangelista Luca, un dono che egli ha fatto a tutta la Chiesa universale.
Un cordiale saluto rivolgo anche ai medici a cui la Chiesa indica san Luca come patrono e protettore, dal momento che, secondo l’apostolo Paolo, Luca era uno di loro. Molti di voi hanno partecipato al convegno dove lo spirito del Vangelo di Luca animava, con un approccio giustamente laico di riflessione aperta a tutti, l’interesse per coloro che non hanno dimora fissa.
Nella seconda lettura, la seconda lettera di Paolo scritta a Timoteo, si usa questa espressione: «Solo Luca è con me», e più sotto si dice: «tutti mi hanno abbandonato».
Si percepisce la desolazione di Paolo che scrive a Timoteo mentre gli confida il suo stato d’animo: è affaticato e sconfortato a causa dell’abbandono di un discepolo e a causa della solitudine per la partenza verso altre missioni di compagni e fratelli.
In controluce si coglie anche la fedeltà di Luca che rimane con Paolo, e la sua condivisione della missione di Paolo. Si percepisce comunque la fatica della Chiesa delle origini per l’annuncio del Vangelo. La Chiesa nasce dalla fatica.
L’annuncio che Paolo portava, e che Luca ha testimoniato nel suo Vangelo e nel libro degli Atti degli Apostoli, riguarda l’amore, la Misericordia del Padre del cielo per i più deboli e per i più poveri, per gli ammalati e gli esclusi; riguarda anche l’edificazione e la diffusione delle comunità che vengono fondate dalla Parola per custodire e per testimoniare a tutti quello stesso amore infinito e misericordioso; riguarda lo stile della missione caratterizzato da debolezze di mezzi e semplicità di strumenti: la Parola ha in se stessa la sua forza, così come il granello di senape o di frumento “di notte o di giorno cresce”, sia che il contadino dorma o che sia sveglio.
Occorre fede per realizzare questo programma, questa missione. Occorrono tempo, dedizione, passione. Invece tutti abbandonano, Dema ha scelto il mondo, solo Luca resta per portare avanti la missione insieme a Paolo.
Anche oggi la Chiesa, come Paolo, vive un tempo di fatica: ne hanno esperienza diretta i catechisti soprattutto quando incontrano i genitori e i genitori stessi quando parlano di fede ai loro figli. Anche tanti di noi vedono cambiamenti veloci e radicali in ordine al rapporto di tanti amici (e tali restano) con la fede in Gesù.
La pandemia, e la conseguente disaffezione di molti a riti e luoghi della fede, hanno messo in evidenza una riduzione dell’adesione alla vita della Chiesa che già era percepibile negli anni passati, e che vediamo realizzarsi soprattutto nel Nord Europa e in generale in Occidente.
La crisi energetica che stiamo attraversando metterà ulteriormente alla prova la vita delle comunità cristiane. Come ogni contesto famigliare e comunitario si vivranno nervosismi e tensioni che provocheranno instabilità nel contesto sociale di cui siamo parte. Anche perché la povertà genera tensioni e violenze.
Ma soprattutto sono le debolezze interne alla vita della Chiesa e delle sue comunità che rendono la sua testimonianza non efficace, incapace di portare il Vangelo dell’amore e della pace scritto da san Luca: eppure abbiamo il compito, come comunità cristiane, di custodire quel tesoro che è il Vangelo della misericordia (sono di Luca le parabole del figliol prodigo, della pecorella smarrita e tante altre pagine che parlano della misericordia di Dio).
In questo momento invece sembra che siamo incamminati a condividere il sentimento di Paolo quando dice “solo Luca”. Cioè solo pochi!
Vorrei quindi incoraggiarvi, sostenere la vostra fede nel Vangelo e la vostra dedizione al Signore e al suo Regno; vorrei aiutarvi ad “esserci” come Luca nella missione del Vangelo “solo Luca è con me”.
C’è infatti una seconda espressione che richiama la mia attenzione in questo brano della lettera a Timoteo, è un “però” che mi sembra veramente importante, quando si dice: «il Signore però mi è stato vicino». Da questo “però” nasce una testimonianza forte di Paolo, un incoraggiamento per noi.
Anche nel mondo della prossimità assistiamo al raffreddarsi delle relazioni umane; il mondo del volontariato ad esempio sta denunciando un calo della partecipazione alle proprie attività di solidarietà sia in campo sociale sia culturale. Nel campo del volontariato sociale le diverse organizzazioni, soprattutto locali, fanno fatica, più fatica di un tempo, ad avere nuovi volontari.
È uno stile che si va diffondendo, una cultura forse. Suppongo che anche nella professione di medico si notino cambiamenti nel rapporto con i pazienti e con le loro famiglie. È preziosa la collaborazione con voi, soprattutto i medici di famiglia, perché percepite il polso, non solo quello del corpo, ma delle persone, il loro stato d’animo, e delle famiglie. Tra l’altro nei momenti di debolezza emergono le dimensioni profonde della nostra umanità: le paure, le ansie, le inquietudini. Spesso la richiesta di una visita ha più carattere di richiesta di consolazione e di attenzione che di intervento specialistico. Ma la persona è una e noi non incontriamo mai solo un corpo o soltanto un’anima, ma sempre una persona.
La festa di oggi ci porta comunque tutti a ritornare al perché del nostro servizio e della nostra professione, diceva Paolo «però il Signore mi è vicino»; che sia possibile trovare in questa espressione di Paolo anche il nostro perché, perché continuiamo ad avere uno stile di servizio, di dedizione gratuiti nei confronti delle persone che sono in difficoltà. Dove troviamo la forza? Per Paolo è “perché il Signore però mi è stato vicino”.
Il mandato del Signore ad annunciare la sua misericordia sia curando il corpo che curando l’anima è il senso che diamo alla nostra professione o al nostro servizio gratuito. Per questo il Signore ci è vicino e per questo, come si dice sempre nella lettera, «fui liberato dalla bocca del leone» che interpreto così: restiamo nei pensieri e nella volontà di Dio, nonostante tutto.
+ Claudio Cipolla