ORDINAZIONE DI QUATTRO DIACONI E DI UN PRESBITERO, FRATI FRANCESCANI
9 ottobre 2021 – Basilica del Santo, Padova
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Omelia
Innanzitutto vorrei ringraziare per questo invito a presiedere una celebrazione così importante e così significativa, di cui mi sento onorato. Tra l’altro non mi sento tanto ospite, bensì molto di casa in questa Basilica. È anche un’occasione importante perché penso che siano almeno novant’anni che un vescovo diocesano non presieda un’ordinazione in questa Basilica. Penso anche che sia la prima volta che sia possibile presiedere l’ordinazione che riguarda dei frati francescani di due comunità diverse. Per questi motivi, colgo uno spirito bello per questa celebrazione che è bella già di per sé, ma anche per me da un punto di vista personale. Vorrei fare qualche piccola sottolineatura, soprattutto per tutti voi che siete in chiesa, perché quello che viviamo, come ministri, lo viviamo come popolo e per il popolo.
Per presiedere l’Eucaristia e celebrare la fedele presenza del Signore nella nostra vita di tutti i giorni, nella vita delle nostre comunità, ci vuole un presbitero; allo stesso modo, perché un cristiano riceva il sacramento dell’ordine nel grado del diaconato o del presbiterato deve esserci un vescovo. Non è questione di burocrazia.
La necessaria presenza di un ministro ordinato sottolinea che sia il sacramento dell’Eucarestia che il sacramento dell’ordine – come tutti gli altri sacramenti – sono un dono che viene dall’Alto, che viene da Dio. È la grande verità custodita dalla nostra fede nel proclamare la Verginità di Maria: Gesù stesso è un dono di Dio che viene dall’Alto, non è frutto del nostro impegno. In questo momento, quindi, insieme vogliamo celebrare il Signore che nella sua bontà continua, gratuitamente, senza nostri meriti, a donarci se stesso nel segno del pane, come possiamo vivere insieme ogni Domenica, e continua per la stessa fedeltà gratuita a donarci la potenza della sua misericordia nel segno del presbiterato e del diaconato: è la Grazia che scende come dono, come annuncio della fedeltà di Dio e del suo amore, come presenza assicurata del suo stare in mezzo a noi, Lui che è l’Emmanuele. Come la pioggia, direbbe Isaia, che scende dal cielo portando il suo frutto, irrigando e fecondando la terra, noi accogliamo questo dono del suo Spirito (cfr. Is 55,10s.).
Nelle letture che sono state scelte per questa celebrazione, la mia attenzione si è posata su un avverbio “come” ripetuto più volte: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi» (Gv 15,9) oppure «Come ho fatto io, così fate anche voi». Questo “come” è un avverbio molto importante, significa: con le stesse modalità di Dio umili e forti, con la stessa intensità, generosa, totale e gratuita, con la stessa potente capacità divina di amore del Padre, così ha agito e amato Gesù.
Per questo invochiamo il dono dello Spirito del Padre e del Figlio e, con l’imposizione delle mani e il silenzio, ossia con l’astenerci dal dire o dal fare qualche cosa; per permetterci di vedere che questo è il tempo in cui agisce il Signore, accogliamo dall’alto il dono del diaconato e del presbiterato. Come Maria ha accolto il dono di Gesù nel suo grembo e nella sua vita, anche la Chiesa accoglie ancora una volta l’intervento di Dio. Accogliamo come dono da riversare ad altri, quando incontreremo persone che chiederanno la parola del Signore, chiederanno i segni della sua misericordia: con questa presenza dello Spirito del Signore noi non portiamo più noi stessi ma Lui, non portiamo ciò che possediamo – la nostra intelligenza, le nostre abilità – ma ciò che ci è stato donato e che non è nostro; non abbiamo merito.
È importante allora, per tutti noi – vescovi, presbiteri, diaconi, catechisti, tutti i battezzati –, entrare in sintonia con il cuore e il pensiero del Padre. In questo tentativo e desiderio continuo, mai completato, di entrare in questa sintonia, ci aiuta Gesù e il suo Vangelo, la sua testimonianza e la sua vita di Risorto, ci aiutano anche i santi come san Francesco, a cui facciamo tutti riferimento, sant’Antonio, santa Chiara, tanto che li invocheremo, durante questa celebrazione, perché si uniscano a noi nella preghiera che rivolgiamo al Padre perché si crei questa sintonia nella nostra vita grazie al suo Spirito.
Certo dobbiamo anche aiutarci noi stessi, umilmente, custodendo il dono prezioso e immeritato che abbiamo ricevuto dall’Alto. Un detto spirituale recita: “Se non custodisci la tua vocazione ogni giorno, un giorno dirai di non averla mai avuta”.
Presiedere l’Eucaristia con il conferimento dell’ordine del diaconato e del presbiterato nella Basilica di sant’Antonio, per voi ordinandi minori e i conventuali, conferisce alla vostra scelta note francescane: per le nostre diocesi è importante che siate veramente francescani, non preti e francescani, ma francescani che hanno accettato il ministero di essere diaconi o presbiteri. Quindi, innanzitutto, francescani. E vi inserirete nei vari presbiteri con questa caratteristica, che io vorrei esprimere con tre piccole sottolineature, che ritengo essere il vostro debito nei confronti di noi secolari.
La prima è la testimonianza di una vita fraterna; io penso che questa sia una profezia nel nostro mondo, ed è sempre stato un richiamo molto importante. Ma la fraternità è messa continuamente in crisi dal nostro egoismo, dal nostro individualismo, dalla nostra natura e anche dalla nostra cultura. E quindi conservare questa perla della fraternità credo che sia una caratteristica che voi potete offrire alle nostre diocesi.
Una seconda nota, che per me rende preziosa la scelta di presbiteri e diaconi tra i francescani, è la scelta che avete fatto della piccolezza o della minorità come stile. A me questo sembra molto importante: sentirci sempre piccoli, in una condizione di inferiorità, mi sembra significhi totale fiducia in Dio e nella sua Provvidenza, non in noi, nelle nostre forze, nelle nostre organizzazioni, nel nostro potere, ma nel Signore. E più siamo piccoli, più siamo portati ad appoggiarci al Signore.
La terza sottolineatura, che è una caratteristica del vostro ministero ordinato che viene data dal vostro essere francescano, è quella perfetta letizia, quella gioia interiore profonda e piena in ogni momento della vita.
Diceva un vostro confratello, p. Giovanni M. Luisetto, nel libro “Mannelli di spighe”: «Il segreto della pace interiore è dovuto sempre alla fede ma nel suo gesto ricorrente di fiducia e di abbandono in Dio. Nell’abbandono è Dio che afferra il cuore». Questo vogliamo vedere nelle parole e nei gesti che ora vivremo e questo è il dono che noi chiediamo al vostro ministero.
+ Claudio Cipolla