In questa occasione la Chiesa di Padova pone due segni: la riapertura della chiesa del Corpus Domini con l’adorazione eucaristica perpetua e la firma, da parte del vescovo Claudio del decreto di istituzione della Fondazione canonica titolata a mons. Giovanni Nervo e mons. Giuseppe Benvegnù-Pasini
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Omelia
Ho la percezione di vivere un momento importante e bello della nostra Chiesa e sono molto grato a tutti voi che siete qui presenti, soprattutto ai presbiteri, in particolare monsignor Pietro Brazzale per tutto il servizio che ha compiuto in questi tempi per il servizio all’Adorazione perpetua, ma anche a suor Lia Gianesello, a don Rino Pittarello e a quanti in questi anni hanno portato avanti nel silenzio, con discrezione, il servizio per i poveri e per l’Eucaristia. Mi commuovo quando, passando nelle parrocchie o in ospedale o in case di riposo, spesso anche lungo le strade, tante persone si rivolgono a me chiedendo una preghiera per essere capaci di portare le proprie sofferenze. Tante mani cercano di sfiorare le mie! La domanda che mi rivolgono, sempre struggente, è di condividere un dolore angosciante che riguarda se stessi o il figlio o la propria famiglia. Quanto contrasto con quanto viene rappresentato dai mass-media! Quando si parla di poveri si usano sempre toni catastrofici, come se fossero una minaccia; quando si parla di noi e della nostra realtà invece, si contestualizzano le informazioni tra luci e sorrisi.
Ma la separazione non è così netta: in mezzo alle nostre luci e nei nostri sorrisi sono nascosti drammi e in mezzo ai poveri sono inseriti tesori di umanità e di bene. La realtà è molto più cruda e molto più bella e, soprattutto, molto più comune: è fatta di malattia, di soprusi, di incomprensioni, ma anche di solidarietà, di amore, di condivisione. Luci e drammi si intrecciano insieme.
Tra noi qualcuno ha gli occhi aperti e vede, vede che non stiamo bene nonostante il nostro benessere materiale; vede la nostra solitudine, vede le nostre angosce. Vede e si fa portatore di coraggio e di speranza per tutti coloro che sono in cammino come noi: è il Signore Gesù. Esperto di deserto (quaranta giorni e quaranta notti), egli ci riunisce insieme questa sera per presentarci la sorgente che scaturisce dalla roccia e la manna che scende dal cielo. Come un padre e come “il Padre” provvede ogni giorno al nostro sostentamento, offrendoci “pane quotidiano”.
Lo stare insieme tra noi e con Lui è l’occasione per infonderci il suo coraggio e la sua speranza, per trasformarci in uomini e donne che sanno scrutare con i suoi occhi e sanno scorgere una città intera che attende di essere servita, quella città che vive tra vetrine e ospedali, tra schiamazzi e solitudini, tra giovanilismi e vecchiaia, tra chiusure e solidarietà… Lo stare con il Signore è per essere dallo stesso Signore mandati a vedere le fatiche dei pericoli del cammino nella nostra città, e per portare ad essa acqua e manna.
Acqua e manna “sconosciute” a noi – come dice il libro del Deuteronomio – sono dono, sono Grazia. Nascondono qualcosa di eccedente rispetto alle nostre attese, e ci vengono donate dal cielo.
Ecco il Corpus Domini, l’opera del Signore: il Corpus Domini siamo noi cristiani, siamo noi membra del suo corpo, membra nelle quali scorre il sangue di Gesù che è il capo; membra nutrite di quel pane spezzato che viene dal cielo e che è la sua vita, il suo Corpo, solo velatamente preannunciato dalla manna del deserto e dall’acqua della roccia. Se non mangiamo di questo pane spezzato e non beviamo di quest’acqua, che scaturisce dalla roccia durissima, non abbiamo in noi la vita. Sono il nutrimento offerto da Dio perché la nostra vita sia secondo il suo spirito e quindi sia spesa per la realizzazione di ogni uomo e donna che incontriamo.
È un grande momento quello che viviamo: il Signore Gesù ci aggrega a sé, ci associa alla sua vita. Ci innesta come il tralcio nella vite, nel suo mistero. Nessuna contemplazione può sostituire l’importanza e l’eccezionalità della celebrazione eucaristica vissuta personalmente, dove i discepoli incontrano Gesù di persona.
L’adorazione è il sostare silenzioso di fronte al segno di questa esperienza mistica: ogni adorazione rimanda alla celebrazione delle nostre comunità.
Non solo Gesù vede, ma con il dono di questa manna sconosciuta, anche i nostri occhi acquistano capacità di visione e riconoscono le sofferenze che ci circondano. L’aprirsi dei nostri occhi è criterio di verità della nostra adorazione. Adorare spinge ad amare, a lavorare, a costruire…
Come state? Come si sta nelle nostre case e nelle nostre piazze? Bene, in apparenza, ma non troppo se guardiamo con gli occhi di Dio. Occhi che spaziano sul mondo intero, dall’Africa all’America, occhi che vedono in profondità nel cuore di ogni uomo. Gli occhi eucaristici, educati e formati dal mistero celebrato, sanno scrutare e individuare i segni dell’amore gratuito, totale, eterno, fecondo, che Dio sparge nel mondo. Occhi eucaristici che sanno percepire, per empatia, ogni dolore. Per questo ci interessa anche rispondere al bisogno di pane materiale e colleghiamo così strettamente adorazione e servizio ai poveri.
Noi, associati a Gesù e al suo servizio, siamo chiamati a essere memoria della nostra società. Memoria di quello che il Signore ha fatto per noi, e memoria di quello che noi abbiamo fatto insieme con lui. Ricordiamo quanti uomini e donne ha chiamato al suo seguito Gesù, ricordiamo quanto lo abbiamo sentito vicino in occasione di guerre (ce ne potrebbero parlare i nostri fratelli e sorelle dell’Altopiano che celebrano la memoria della prima guerra mondiale). Ricordiamo quanto lo abbiamo sentito vicino in occasione di malattie, di tempi difficili; sono rimasti tanti segni lungo le nostre strade, spesso raccontati con vera arte, della fede con la quale i nostri padri hanno accolto e riconosciuto l’azione del Signore. Abbiamo avuto in questi giorni la visita del vescovo di Nyahururu, in Kenya, e abbiamo ricordato come il Signore abbia chiamato anche tanti missionari per essere accanto a chi è più povero (in questi giorni 21 preti diocesani sono in missione e altri 800 consacrati della nostra diocesi sono in missione nel mondo intero). Ricordiamo queste chiamate!
Ricordiamo che da oltre 130 anni la nostra Chiesa è stata nella condizione di dar da mangiare a migliaia e decine di migliaia di persone, distribuendo milioni di pasti con le sue Cucine economiche popolari. Ricordiamo quanti giovani abbiamo accolto e accogliamo per contribuire alla formazione culturale e professionale nelle università, alla formazione umana, sociale ed ecclesiale nei nostri patronati. Ricordiamo quanti uomini e donne, figli di Padova e chiamati dal Signore, hanno messo a disposizione energie, intelligenza, risorse perché Padova fosse città bella, libera, accogliente, solidale, aperta al mondo intero, creativa… Ricordiamoci di don Luigi Mazzuccato, di Angelo Ferro, di Antonio Papisca, di don Giovanni Nervo, don Giuseppe Pasini, di monsignor Francesco Frasson e quanti altri.
Ricordati dunque Padova di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere.
Ricordati Padova, ricordati e loda il tuo Signore! Senza questa memoria non puoi essere te stessa!
Associati a Gesù e al suo servizio siamo chiamati a essere speranza per la nostra città.
Non è tempo per conservare e difendere il passato e consumare quanto abbiamo ricevuto. È tempo invece di assumerci responsabilità verso il futuro per amore dei nostri figli e dei nostri nipoti, per lasciare loro un creato e una società vivibili e belli. Ci sono prospettive, c’è un futuro da costruire migliorando la situazione attuale; c’è una speranza con la quale camminare e dalla quale lasciarci motivare e spronare: è la nostra fede nel realizzarsi progressivo del Regno di Dio, Regno di Giustizia e di Pace per tutti gli uomini del nostro pianeta. Una speranza eccedente il nostro cuore, forse, come la manna e come l’acqua.
Ricordiamo pure anche i momenti di prova e cogliamo dal Deuteronomio l’invito a interpretarli alla luce dell’amore di Dio, di cui Gesù ci ha parlato. Quelle prove sono diventate l’occasione per renderci affamati e assetati del vero cibo e della vera bevanda, per darci il vero nutrimento; erano occasione per portarci a una vera conoscenza di noi stessi e di Dio, per formarci alla comunione con Lui, perché non di solo pane vive l’uomo: la nostra storia è nelle mani di Dio, è tutta Grazia.
Un salmista dice di Dio e del suo rapporto con noi:
«Egli [Dio], lo (il popolo-noi) trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitari.
Lo educò, ne ebbe cura, lo custodì come pupilla del suo occhio.
Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le
ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali» (Dt 32,10ss).
Ancora oggi la Parola, custodite in queste parole e fatta carne nel segno del Pane e dei fratelli, è viva e ci certifica la fedele compagnia del Signore lungo il tratto di strada che a noi è affidato. L’Eucaristia che stiamo vivendo, e che vorremmo prolungare in ogni istante delle nostre giornate e notti, è memoria del Signore e della sua vicinanza, è occasione che offriamo a Dio di aggregarci a Gesù in un vincolo profondo di amore e di impegno, è servizio di coraggio e di speranza per la nostra città. Teniamo gli occhi aperti per essere capaci di vedere la storia e il nostro territorio e di posare su tutti lo stesso sguardo di Gesù: uno sguardo di amore.
Questo pane resterà sempre esposto per l’adorazione nella chiesa del Corpus Domini, dando continuità a un’esperienza introdotta inizialmente dalle suore Elisabettine, presso la loro Casa madre, e negli anni ‘30 portata in via Santa Lucia (le ringraziamo anche per questa coincidenza di collaborazione per l’adorazione e per le cucine popolari).
Quando si sosterà in silenzio, ricordiamo che il Signore continua in quel silenzio, il lavoro di progressiva aggregazione a sé, collocandoci in un’esperienza che eccede le nostre facoltà. Quando sosteremo di fronte all’Eucarestia, il Signore non ci isola dalla Chiesa e dalla comunità, non ci isola dalla famiglia, dalla città e dall’impegno: ci dà invece l’energia necessaria!
+ Claudio Cipolla,
vescovo di Padova