XXX Giornata mondiale del malato

11-02-2022

XXX GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

11 febbraio 2022 – Basilica del Carmine, Padova

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Omelia

L’angelo aveva indicato la gravidanza di Elisabetta come segno della verità delle sue parole, per questo, in fretta e senza indugio Maria si mette in cammino e reca visita alla cugina Elisabetta. Da questo incontro scaturisce il canto del Magnificat che chi celebra i vespri utilizza ogni sera per lodare il Signore. Questo canto fa oggi da sfondo alla nostra preghiera e alla nostra eucaristia. È stato collocato come lettura della festa della Madonna di Lourdes e in questo modo diventa sfondo anche del nostro incontro con gli ammalati e per gli ammalati.

C’è un “noi” che vogliamo esprimere con la nostra presenza nella chiesa del Carmine, ed è quello ecclesiale. La Chiesa cioè nelle sue varie forme, ossia i singoli credenti, la famiglia, la parrocchia, la diocesi, le varie associazioni che la arricchiscono della propria competenza e specializzazione, si fa attenta oggi in modo particolare per manifestare la sua vicinanza a coloro che in qualsiasi modo sono stati indeboliti, resi insicuri dalla malattia. La malattia fa paura, ci rende soli e abbiamo paura di restare soli, ci rende dipendenti dagli altri e questo ci umilia, limitati nei movimenti e nella libertà, non possiamo più fare quello che abbiamo sempre fatto, quasi veniamo imprigionati. Quando si è in questa situazione si sperimenta l’importanza di quei segni che forse prima trascuravamo un po’: i gesti dell’amicizia, di una telefonata, un saluto, una visita. Tutti i segni di calore e di affetto diventano per un malato preziosi, anche quelli più piccoli, pure un semplice sguardo, un ricordo.

Penso sia capitato a tutti di vivere l’imbarazzo di farsi presenti in una casa quando c’è un ammalato.  Si ha timore di disturbare, di non indovinare il momento; però succede spesso che ci si sforza e si va… si suona il campanello. Ci si accorge così di essere accolti con gioia, sempre e di essere addirittura attesi. E si ritorna a casa consapevoli di aver portato sollievo e compiaciuti di aver fatto visita, si ritorna contenti dell’incontro e contenti un po’ anche di sé stessi, per aver osato questo passo.

Anche il canto di Maria, che abbiamo appena ascoltato, nasce dopo aver recato una visita. La visita, il saluto, l’abbraccio, la preghiera comune, il ricordo portano benedizione e consolazione. Elisabetta vede nella visita di Maria un segno della vicinanza di Dio, il riconoscimento di una lunga fedeltà del Signore che sempre realizza le sue promesse: in lei, anziana che aspetta un bambino, ma anche in Maria che aspetta la nascita del Signore; in questi avvenimenti si manifesta la fedeltà e la misericordia di Dio. Entrambe rileggono la loro vita e nella loro vita scorgono, per Grazia, l’azione di Dio e le difficoltà incontrate diventano il terreno della grazia. D’altra parte la gravidanza di Elisabetta, sterile e anziana, era il segno della verità delle parole dell’angelo.

La Chiesa non testimonia la sua fede solo quando prega Maria ma soprattutto quando assume in sé un atteggiamento mariano e ripete nella sua vita i sentimenti, i pensieri e gli atteggiamenti della Madre del Signore.

L’attenzione all’ammalato, la visita alla sua casa, presso il suo letto, il ricordo fraterno di lui, anche una semplice telefonata esprimono che c’è un sentimento nel cuore del cristiano che rispecchia quello di Maria, e il nostro cuore impara a essere un cuore mariano, un sentimento che può essere condiviso con tutti e che può diventare addirittura stile e cultura della nostra vita e del nostro tempo.

La dimensione mariana è educata, formata nei cristiani con tanti segni che a volte abbiamo trascurato, e se non li riconduciamo alla vita rischiano di perdere significato: la Chiesa invita i cristiani non solo a pregare ma anche a portare nelle case il pane consacrato perché un ammalato possa nutrirsi di quel pane che ha la forza di trasportare non solo il ricordo e l’affetto di una comunità, il segno dell’amicizia e della fratellanza di una comunità, ma anche il Signore Gesù stesso, proprio come Maria che fa visita a Elisabetta. Pensiamo al significato della celebrazione del sacramento dell’Unzione degli infermi come segno che tutta la Chiesa chiede forza e sollievo per chi è ammalato; pensiamo anche a un gesto sconosciuto per lo più, quello del viatico quando la Chiesa consegna a chi sta completando la vita terrena per accedere alla vita divina lo stesso pane eucaristico perché il Signore riconosca in colui che si presenta, un suo proprio figlio. Sono questi i gesti e i sentimenti che dicono la fede in Maria delle nostre comunità ma che ci aiutano ad avere in noi quello stesso sentimento che era in lei. Sono questi i gesti e i sentimenti che dicono la verità della nostra fede e trasformano il culto in vita e la vita, anche nei momenti difficili, in un canto di lode.

Questa sera con Maria diamo voce a tutti gli ammalati, e se avremo occasione di cantare il Magnificat vi inviterei a farlo con l’atteggiamento del canto degli umili, dei poveri, del popolo. Cantare «l’anima mia magnifica il Signore perché ha guardato all’umiltà della sua serva», significa raccogliere la preghiera e il canto di tutti coloro che sono indeboliti, resi fragili, umili dalla loro condizione di vita.

C’è un ultimo pensiero che rende importante la nostra assemblea. I segni di vicinanza umana, che vengono suscitati dalla nostra fede, educano il cuore e creano cultura, un modo di pensare, una mentalità. Anche questo è un obiettivo che indica la verità della nostra fede e ci sentiamo spronati a chiedere e insistere per un sempre maggiore rispetto di ogni persona anche nel momento della malattia, della vecchiaia, della disabilità. Sempre. Ogni persona amata è sempre una persona preziosa, in ogni fase della vita, anche nel momento della morte. Non si può ridurre il servizio di cura a business, farne occasione di scontro tra poteri politici, economici.

Il tempo della pandemia ha smascherato in effetti tante debolezze nei nostri sistemi di cura. Ringrazio ancora una volta tutti quei professionisti infermieri, medici, assistenti, dirigenti, scienziati che già hanno fatto tanto per gli ammalati, e mi permetto di presentare anche per loro una preghiera perché tutti coloro che portano le responsabilità nel servizio di cura alla persona possano avere rette e sincere intenzioni e forza per guidare la nostra società a servizi sempre più degni nei confronti delle persone, soprattutto quando sono più deboli.

Tra tutti questi professionisti ci sono anche tanti cristiani e sono commosso quando vedo la loro serietà e delicatezza: so quanto c’è da lottare e so che lo fanno non per il soldi ma per vocazione. Il Signore li benedica e li sostenga nella loro missione; si sentano mandati dalla Chiesa a vivere portando l’amore del Signore nel loro lavoro e a rendere la nostra civiltà sempre più umana. Perché la loro presenza illumini, incoraggi, permetta di andare dove, secondo la ragione o gli accordi, non è necessario arrivare, diventando profeti, anticipatori di umanità, uomini e donne che sanno indicare strade nuove proprio per servire la nostra vita che è un dono del Signore.

+ Claudio Cipolla