Il volto attuale della Chiesa “cattolica”

Festa delle genti il 6 gennaio al Tempio della pace

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Per essere insieme costruttori di un mondo nuovo. Giovedì 6 gennaio dalle 10.30 presso il Tempio della pace a Padova si svolge l’ormai tradizionale Festa delle genti. Un appuntamento diocesano che vede le comunità cattoliche di altra madre lingua e i residenti incontrare il vescovo di Padova e vivere quindi un tempo di festa e di fraternità. Una festa che sta perdendo i caratteri della straordinarietà e che come ogni anno rappresenta un passo verso la celebrazione della giornata mondiale del migrante e del rifugiato, domenica 15 gennaio.

«Sarà la 103esima – spiega don Elia Ferro, delegato diocesano per la pastorale dei migranti – E sarebbe davvero importante e significativo che nelle singole comunità parrocchiali venisse ricordata e celebrata. La Festa delle genti del 6 sta diventando una festa ordinaria, rientrare di default nel calendario diocesano: è l’espressione concreta del nostro essere chiesa cattolica, plurale; mette davvero in risalto la nostra realtà di chiesa fatta di colori, nazionalità e tradizioni diverse».

Sono 100mila i migranti che popolano la nostra diocesi. Circa 2.000 i profughi richiedenti asilo. «In questi momento il fenomeno “micro” dei profughi concentra tutta l’attenzione dei media, dell’opinione pubblica, del sociale… e questo porta spesso a trascurare una realtà di persone che da anni vive già dentro le nostre comunità con discrezione, impegno e fatica e che chiede di essere “guardata”».

Sono 11 le comunità cattoliche di altra madrelingua presenti in diocesi e che la pastorale dei migranti segue anche attraverso la figura di un sacerdote dedicato a ciascuna. Nel sito migrantes.diocesipadova.it,  e  www.migrantespadova.org, si trova un quadro e presentazione di queste realtà, oltre a una ricca galleria di foto e materiali.

«”Migranti minorenni vulnerabili e senza voce” è lo slogan della giornata mondiale delle migrazioni (qui si può leggere il messaggio di papa Francesco). Mi piace ricordare che tutti i migranti lo sono di per sé vulnerabili e senza voce e le comunità cristiane non possono essere ciechi e sordi in questi senso.
Oltretutto stiamo vivendo un grande cambiamento in senso alle diverse comunità straniere, dettato dalla crisi». Sì perché se il numero dei migranti resta stabile, muta però il suo volto e conformazione. «Alcuni, gli africani ad esempio, si spostano verso Inghilterra e Germania o tornano al Paese, lasciano magari qui i bambini o li rimandano a casa insieme alle mogli. Altri arrivano per ricongiungimento famigliare o per nuove nascite. Le famiglie che si riunisco note e si “ri-disuniscono”. Un movimento importante che non si vede e nota abbastanza ma che inevitabilmente cambia anche il volto delle nostre comunità immigrate. Questo ci dice che anche il nostro lavoro pastorale è mobile».

Ma questa attenzione non può più essere relegata esclusivamente alla pastorale dei migranti. «Perché queste presenze non sono più “nuove” – sottolinea don Elia Ferro – e perché rappresentano davvero una grazia. Ci provocano, in particolare dal punto di vista della fede, con la loro grande carica religiosa, a ripensare a noi e alle nostre radici, ad ampliare gli orizzonti. Ci hanno portato a convivere praticamente con altre religioni, come il buddismo e l’islam, ma anche altre confessioni cristiane, come gli ortodossi, anglicani, evangelici e luterani. Altri modi di credere e manifestare la fede e questo spinge a un riappropriarci della nostra fede per potergliela dire!».

La presenza di tanti fratelli cristiani di altra madrelingua rappresenta davvero un momento creativo a livello pastorale. Come attestano anche le ricerche che si stanno portando avanti nell’Istituto di studi ecumenici di san Bernardino a Venezia. «Abbiamo avviato una riflessione anche teologica. È giunto il tempo di passare, come Chiesa,  dall’accoglienza all’ospitalità, al “far posto in casa”, e alla convivialità, nel senso del costruire qualcosa assieme. Solo così, lavorando anche sulle idee, riusciremo a dare veramente voce e più posto ai nostri fratelli».

Claudia Belleffi