Scuotiamoci dal torpore per un nuovo slancio di fede

II tempo della Quaresima avanza. Domandiamoci: abbiamo fatto qualche passo per avanzare nella vita spirituale? Il Signore ci rivolge oggi un invito pressante per scuoterci dal torpore e infondere nuovo slancio di fede, di speranza e di amore alla nostra vita. Ascoltiamo con il cuore la sua Parola.

Il Vangelo riporta la risposta di Gesù a domande circa due episodi in cui erano periti degli Ebrei, i primi uccisi da Pilato e gli altri sepolti vivi dal crollo della torre di Siloe. Secondo l’interpretazione corrente quelle morti erano un castigo meritato per una colpa. Episodi di morti a causa di violenza o per disastri naturali accadono anche ai nostri giorni; c’è anche chi pensa che una malattia sia un castigo mandato da Dio. È importante ascoltare la risposta di Gesù. Egli, come sempre, va in profondità e dice, anzitutto, che quelle persone non avevano una particolare colpabilità meritevole di castigo. Il punto centrale dell’insegnamento proposto da Gesù è che la morte violenta e improvvisa di quegli uomini mette in luce un fatto generale: c’è nel mondo un mistero del male che per la sua logica interna conduce alla sofferenza e alla morte. Di fatto, la nostra esistenza è, soggetta alla precarietà, non ne abbiamo il possesso, e la malvagità provoca violenza mortale. In questa situazione, la scelta più importante è di fondare la nostra vita sul rapporto con Dio per non cadere vittime del male. “Liberaci dal male” imploriamo nel Padre nostro. La constatazione del male nelle sue varie forme che conducono alla morte fisica o spirituale deve perciò indurci alla conversione a Dio.

È Lui la roccia di salvezza e la più sicura speranza se a Lui ci appoggiamo. La Parola di Dio di questa domenica si sollecita a ricercare l’incontro personale e vivo con Dio. L’episodio dell’incontro di Mosè con Dio, narrato nella prima lettura, ci rivela un’esperienza che, pur unica, rimane tuttavia esemplare per noi. Il racconto mostra due condizioni perché avvenga l’incontro con Dio. Anzitutto Mosè si inoltra nel deserto. Questo ci dice che per incontrare il Signore è necessario distaccarci con il cuore dalle cose che ci occupano eccessivamente togliendoci il tempo per meditare e pregare; il deserto significa ancora il silenzio che è necessario per avvertire la presenza di Dio e ascoltare la sua Parola. Mosè poi sale la montagna: sta ad indicare la elevazione dello spirito e la purezza. In un salmo si domanda: «Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?». La risposta è «Chi ha mani innocenti e cuore puro» (Sl 24).

Dio si rivela a Mosè come fuoco bruciante. Il simbolo del fuoco ci dice che Dio non si può afferrare, ma a contatto con Lui si riceve luce, purificazione dalle scorie, calore, energia. Si scopre che è un Dio che ci conosce, ci chiama per nome, è un Dio misericordioso, sensibile alla sofferenza, che ci affida una missione da compiere. Un incontro vero con Dio, com’è avvenuto per Mosè, cambia la vita.
Ritorniamo al Vangelo, alla parabola del fico sterile. Ci fa capire, da una parte, la pazienza di Dio; dall’altra l’urgenza del tempo. Dio ha la pazienza di un Padre e di un educatore; ma ci allerta anche sulla brevità del tempo a nostra disposizione. Una delle cause di mediocrità e di rischio della vita cristiana è la tendenza a rimandare l’impegno di conversione, a rimettere più tardi quello che dovremmo fare subito. In realtà, il domani non è in nostro potere! Il Vangelo non sopporta la pigrizia e la noncuranza di valorizzare i talenti ricevuti. Gesù ammonisce: «tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Mt 24, 44). Anche noi diciamo: «Chi ha tempo, non aspetti tempo». Scuotiamoci, dunque, dal torpore, prendiamo una decisione importante. Saremo più contenti e faremo anche gli altri più contenti.
 
Antonio, vescovo