Don Giuseppe Benacchio riposa tra le braccia del Padre

Il funerale martedì 7 dicembre 2021, alle ore 10.30 a Romano d'Ezzelino

Don Giuseppe Benacchio la sera di sabato 4 dicembre 2021 ha raggiunto la pace eterna. Nato a San Nazario (Vi) il 21 febbraio del 1927, è stato ordinato il 9 luglio 1950.


Don Giuseppe Benacchio  San Nazario (Vi), 21.02.1927 – Romano d’Ezzelino (Vi), 04.12.2021

 

Don Giuseppe Benacchio si è spento la sera di sabato 4 dicembre 2021. Nato a San Nazario (Vi) il 21 febbraio del 1927 e dopo aver percorso tutto il cammino formativo del Seminario («con sempre lodevoli risultati») fu ordinato prete il 9 luglio 1950.

Era stato prefetto nel Seminario di Thiene (1950), quindi vicario cooperatore al Carmine (1951), ad Agna (1952) e successivamente a Cismon del Grappa (1954), dove nel 1957 fu nominato vicario economo. Nel novembre dello stesso anno fu inviato come vicario cooperatore a Enego. Nell’agosto del 1963 fu mandato a Rivai, prima come vicario economo e qualche mese dopo come parroco. Dopo quattro anni fu nominato parroco a Campo di Alano (1967-1976) e successivamente a Creola (1976) dove rimase fino al 2006. A Creola era entrato il 12 settembre, festa del Nome di Maria alla quale intese affidare il compito di custodire quanti gli erano affidati nella nuova comunità, dove seguì molto la scuola dell’infanzia, le diverse fasce d’età, i malati, senza trascurare importanti lavori strutturali. Un fatto particolare aveva segnato la sua sensibilità: la tragedia avvenuta il 20.10.1977 quando un elicottero militare del soccorso aereo precipitò ed esplose vicino alla chiesa e alla scuola materna, causando la morte di cinque avieri le cui famiglie don Giuseppe volle sempre seguire. Alla soglia degli 80 anni, prese dimora a Romano d’Ezzelino come penitenziere.

I genitori di don Giuseppe, profondamente cristiani, avevano avuto altri due figli: Nazzareno (†2020), religioso dei Missionari d’Africa e la figlia Celina (†2000), delle suore di San Giuseppe dell’Apparizione. Fino a cinque anni fa don Giuseppe aveva svolto il suo servizio di penitenziere a Romano, celebrando l’Eucaristia e visitando qualche malato. Negli ultimi anni e fino alle ultime settimane non sono mancate le visite di persone che lo cercavano per celebrare la riconciliazione. Nonostante l’età, la memoria e lo spirito erano rimasti brillanti, tanto che giocava a scacchi, seguiva con interesse documentari e programmi televisivi, tenendosi informato sui fatti. In occasione dell’anniversario della morte del fratello Nazzareno (il 16 novembre scorso), aveva chiesto l’unzione degli infermi e si era, poi, allettato, rimanendo lucido fino alla morte, avvenuta nell’appartamento dove abitava.

Don Giuseppe, legato alla terra di origine (generosa di vocazioni) e appassionato della montagna, apprezzava lo stare assieme con semplicità.

Tendenzialmente timido, era sostenuto dal coraggio e dall’allegria, tanto che un suo motto era: “La fede e l’allegria mi tengono compagnia”. Ma di don Giuseppe è bello raccontare un altro tratto, ovvero l’amicizia e la collaborazione nei confronti del CUAMM, al quale fu legato profondamente negli anni, complice anche il legame con il compagno di strada (e originario di Creola) don Luigi Mazzucato, per oltre 50 anni direttore della stessa istituzione medico – missionaria. Don Giuseppe, il fratello padre Nazzareno e la sorella suor Celina si sono molto impegnati a sostenere l’opera del CUAMM, in particolare per assicurare assistenza sanitaria alle mamme e ai bambini dell’Angola e del Sud Sudan, tanto che diverse strutture sanitarie dei due paesi sono state beneficate dalla loro generosità. Il 7 maggio 2016, in occasione della speciale udienza concessa al CUAMM da papa Francesco, con oltre 10 mila partecipanti in Aula Paolo VI, don Giuseppe ebbe la gioia di incontrare il Santo Padre, di abbracciarlo e di rivolgergli un personale augurio.

Le esequie saranno celebrate dal vescovo Claudio martedì 7 dicembre a Romano d’Ezzelino, alle ore 10.30. La salma riposerà poi nel cimitero di Creola.


Di don Giuseppe resta un racconto di sé, così come consegnato alle pagine del quaderno Sotto la splendida navata, pubblicato a San Nazario in occasione del 60° di ordinazione. Ne riprendiamo, qui di seguito, la gran parte.

«La mia famiglia è stata sempre una piccola chiesa dove regnava una fede profonda, dove si pregava spesso e volentieri con il Rosario quotidiano che recitava anche il papà Rodolfo (lo faceva anche da solo quando si trovava lontano da casa, in Svizzera, per lavoro). Oltre alla devozione a Gesù e alla Madonna, nella nostra casa si pregava ogni giorno lo Spirito Santo e San Giuseppe. Andavamo a Messa ogni giorno, alle ore 5 d’estate, alle ore 6 d’inverno, senza badare al freddo! La mamma non si stancava mai di partecipare alla Messa, che ascoltava anche più volte al giorno se c’era la possibilità. Quando magari passava per la parrocchia un missionario o un sacerdote, veniva suonata la campana, e allora via, lasciava lì ogni faccenda e correva in chiesa. Tanto che mio papà diceva scherzosamente: “Per fortuna non abitiamo a Padova perché staresti tutto il giorno al Santo!”. Sono riconoscente alla mamma che mi ha insegnato ad amare la S. Messa che ho ascoltato ogni giorno prima del Sacerdozio e che ho sempre celebrato volentieri, anche due o tre volte al giorno quando ero parroco. Ecco dov’è nata la mia vocazione: nella famiglia dove i genitori sono stati i veri educatori con la parola e con l’esempio.

La mia vocazione, nata in famiglia, crebbe e fu alimentata frequentando la chiesa dove ho fatto il chierichetto fin dall’età di cinque anni e posso dire che la mia scelta sacerdotale è nata ai piedi dell’altare, alimentata dalla S. Comunione fatta ogni giorno senza bere una goccia d’acqua (com’era di regola in quel tempo), magari a tarda ora come succedeva andando a piedi in Grappa durante l’estate.

Devo dire che il seme della mia vocazione c’era ancora prima di nascere! Perché la mamma Maria si è confidata di averci offerti a Dio quando ci portava in grembo durante i nove mesi e il Signore l’ha presa in parola perché Celina si è fatta suora e i due figli sono diventati sacerdoti. A volte pensarci mi commuove ancora perché l’ha fatto per amore e con amore. I genitori non ci hanno mai suggerito di consacrarci al Signore, ma ci hanno lasciati sempre liberi, e volentieri hanno accettato la volontà di Dio, anche se, in verità, sarebbe stata utile per loro la nostra presenza. La mamma ne avrebbe avuto bisogno non godendo buona salute. E quando Celina a 15 anni ha manifestato il desiderio di farsi suora la mamma le diceva che era troppo giovane. È stato papa Rodolfo che, vedendo la sofferenza di non partire subito, le ha detto: “Se il Signore ti chiama devi ascoltarlo subito”.

Oltre alla mia famiglia, a favorire la mia vocazione è stata la parrocchia, dove c’era tanta fede e una pratica religiosa quasi totale. Ma bisogna dire che con tanto bene non mancavano i cattivi esempi dei ragazzi e la grande preoccupazione della mamma, vorrei dire esagerata, era che i cattivi compagni potessero rovinare il nostro animo semplice e innocente. Il buon Dio e la Madonna ci hanno protetto e difeso, ma è merito anche della mamma che non lasciava passare cinque minuti senza venire a cercarci quando non ci vedeva a casa e se non avesse agito in questo modo, forse la nostra bellezza interiore sarebbe stata compromessa.

Il desiderio di diventare sacerdote l’ho avuto fin dalle elementari, terminate le quali, ho frequentato la 1a e la 2a ginnasio andando ogni giorno a Solagna in bicicletta con qualsiasi tempo (caldo, freddo, neve, ghiaccio!), ma non sono mai mancato. Terminate le prime classi di ginnasio desideravo continuare gli studi ma non pensavo possibile entrare in Seminario, dovendo pagare una seconda retta, vista la difficoltà che papà Rodolfo aveva per pagare quella di mio fratello Nazzareno. Pensavo perciò di entrare presso gli Scalabrini dove non si pagava rette. Ma quando una mattina, dopo la Messa ho manifestato il mio progetto, il parroco don Narciso Cesaro ha detto risoluto: “Tu entrerai nel Seminario diocesano”, e ha aiutato la mia famiglia ottenendomi una borsa di studio fino al sacerdozio. Allora potei così entrare in Seminario a Thiene dove ho completato le cinque classi del ginnasio.

Prima di entrare in Seminario dovetti sostenere gli esami pubblici a Padova. Proprio il primo giorno di esame è capitato un fatto di cui continuo a portare le conseguenze. Mentre si stava visitando gli ambienti del Seminario di Padova con i miei futuri compagni, cedette improvvisamente il pavimento di un corridoio. Dall’altezza di sei metri cademmo tutti! Eravamo quasi in trenta. Fu una tragedia. Tutti siamo rimasti feriti, ma gravemente solo in tre, tra i quali anch’io, che ho subito la rottura completa della rotula. Sono rimasto per circa due mesi nell’Ospedale di Padova con una grossa operazione al ginocchio e per fortuna sono riusciti a cucire e sistemare i pezzi della rotula. Quanti dolori ho sopportato in quei mesi, quasi da contare tutte le stelle del cielo durante tutte le terapie. Ma tutto sommato, posso stare contento perché, anche se da 20 anni sono senza rotula e da 15 anni ho la protesi completa, posso camminare, ma non fare lunghe passeggiate, specie in montagna e non riesco a fare la genuflessione e stare in ginocchio.

Terminati gli anni del ginnasio passati a Thiene con poco cibo e tanto freddo (erano anni di guerra) sono entrato nel seminario di Padova dove ho fatto tre anni di Liceo e quattro anni di teologia. Non posso dimenticare la fame patita a Padova e soprattutto la paura a causa di continui allarmi e frequenti bombardamenti. Per fortuna nell’aprile ‘45 la guerra è terminata e si è respirato un clima di pace che ci ha portato tranquillità. Tutti gli anni ho meritato la promozione, ma con tanto impegno e fatica che facevo volentieri in vista del sacerdozio che si avvicinava anno dopo anno. Finalmente è arrivato il momento della consacrazione avvenuta il 9 luglio 1950. Purtroppo la gioia di quel momento è stata offuscata dalla notizia della tragica morte del caro cugino Natalino. Per questo motivo avrei rinunciato volentieri a fare la festa della la Messa a San Nazario il 16 luglio, ma don Simeone Zordan ha deciso di farla sia pure in forma ridotta.

La prima destinazione che il Vescovo Girolamo Bortignon mi assegnò è stata quella di seguire per un anno i seminaristi a Thiene. L’anno successivo sono stato nominato cappellano nel Santuario del Carmine a Padova. Appena ho potuto incontrare il Vescovo ho manifestato il desiderio di lavorare in una parrocchia dove ci fosse la casa del cappellano per poter portare con me i genitori anziani. Il Vescovo allora mi ha destinato nella parrocchia di Agna, nella bassa padovana. Ma nebbia e umidità in abbondanza hanno minato la mia salute causandomi una brutta pleurite. Subito il Vescovo con benevolenza mi ha suggerito di raggiungere la mia bella valle: forse l’aria buona e sana della Valsugana mi avrebbero fatto assai bene! Infatti dopo soli pochi mesi da cappellano a Cismon ho ritrovato la mia forza fisica. Stetti qui dal 1954 al 1957, dove anche a causa di una grave malattia dell’arciprete, ho fatto anche da parroco. I cinque anni successivi li ho trascorsi a Enego dal 1957 al 1963, poi il Vescovo mi ha pregato di andare parroco a San Vito d’Arsiè per alcuni mesi, terminati i quali sono stato nominato parroco di Rivai, dove per quattro anni, dal 1963 al 1967, ho seguito anche il Preventorio di Col Perer dove c’erano 120 ragazzi con suore e personale. Nel 1967 ho avuto la nomina di parroco di Campo di Alano, dove sono morti i miei cari genitori.

Nell’autunno del 1976 sono stato nominato parroco a Creola di Saccolongo, dove sono rimasto per ben 30 anni. Mi sono trovato bene e i miei superiori mi hanno sempre incoraggiato a continuare. A Creola, oltre che a svolgere opera di apostolato in mezzo a circa duemila fedeli, ho pure realizzato delle opere molto impegnative: il nuovo patronato, il bellissimo campanile, ampliato e rinnovato l’Asilo. Ma l’opera più importante per tutta la comunità è stata quella di abbellire la chiesa con i meravigliosi mosaici, uno rappresentante l’Ultima Cena di 140 metri quadrati e gli altri presso gli altari della Madonna, di S. Antonio e S. Giuseppe e un mosaico davanti la chiesa rappresentante i Santi Pietro e Paolo. A completamento dei lavori ecco la nuova illuminazione, l’amplificazione, la tinteggiatura e il ripasso completo del tetto. Posso dire di aver lasciato a Creola un gioiello di chiesa, veramente degna di essere la casa del Signore e della Comunità, preferendo fare questo piuttosto che curare troppo la canonica che comunque tutti trovavano semplice, ma decorosa. Ho passato a Creola momenti di grande gioia, ma anche di sofferenza quando sono andate via le Suore Salesie, ma il buon Dio mi ha premiato facendomi trovare delle nuove suore bravissime.

Dopo 29 anni passati a Creola, essendo prossimo ai 30 anni, era opportuno rinunciare alla parrocchia. Avevo diverse possibilità di fermarmi sia a Creola come nelle parrocchie vicine, ma le ho tutte scartate. Ho preferito mettermi a servizio della parrocchia di Romano d’Ezzelino, alle pendici del Monte Grappa a me molto caro, che conta circa 5.000 anime. Qui mi trovo bene e sono veramente contento di poter collaborare con il parroco e mettermi a disposizione come penitenziere per le confessioni. Abito sopra il centro parrocchiale e le mie finestre si aprono sul verde bellissimo del Grappa! Chi viene a trovarmi dice che sono fortunato ad aver trovato questa soluzione. Oltre che a svolgere opera di penitenziere, sono sempre al servizio con gioia di queste parrocchie come di altre, quando sono richiesto da qualche parroco. Qui spero di rimanere per parecchi anni, vita e salute permettendo, contento di essere ancora utile e di fare un po’ di bene, perché un sacerdote non vuole mai stare in riposo, anche se pensionato e avanti in età».