Ravvivare il dono del Sacerdozio

Carissimi presbiteri e fedeli,
l’11 giugno u.s. si è concluso l’Anno sacerdotale.
L’abbiamo considerato una grazia del Signore e abbiamo cercato di viverlo con intensità, meditando sulla figura esemplare di San Giovanni Maria Vianney. Un buon numero di confratelli si è pure recato in pellegrinaggio ad Ars.
È auspicabile che la grazia dell’Anno sacerdotale continui ad illuminare e rafforzare il nostro presbiterio nell’esercizio del suo ministero. A questo scopo, nella riunione del Consiglio presbiterale, tenuta il 13 maggio, è stata accolta la proposta di prendere, come presbiteri, alcuni impegni comuni che coinvolgono anche le comunità.
Occorre considerare, infatti, che il presbitero non è una figura a sé stante, ma è inserito vitalmente nel tessuto della comunità ecclesiale, in relazione particolare con il vescovo, di cui è insostituibile collaboratore, e in contatto quotidiano con i membri della comunità, di cui è pastore e guida.
Da parte mia, come vescovo, rinnovo l’impegno di recitare quotidianamente il santo rosario per i presbiteri, principalmente per quelli che sono in particolare necessità, e di rendermi disponibile ad ascoltarli, orientarli e sostenerli nelle loro fatiche con lo spirito di Gesù.
Chiedo a voi fedeli di considerare i sacerdoti con spirito di fede, di pregare per loro, di offrire loro la vostra collaborazione, di essere comprensivi dei loro limiti, rispettando la dignità derivante dalla loro consacrazione sacerdotale. Voi potete fare molto per aiutare i sacerdoti ad essere fedeli alla loro dignità e al loro ministero. Dato il ridursi del numero e l’aumentato carico di impegni, sarà necessario anche limitare le attese che in passato si avevano nei riguardi del prete, come, ad es., il numero delle celebrazioni eucaristiche.
L’Anno sacerdotale ha richiamato l’esigenza di ravvivare, sia nei preti, ma anche nei fedeli, il senso della necessità e della dignità del sacerdozio ministeriale, istituito da Gesù Cristo. Esso «è l’amore del cuore di Gesù» (Curato d’Ars, Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1551). Ricordiamo che in virtù della sacra Ordinazione, il sacerdote presiede «in persona Christi» la celebrazione di due sacramenti basilari per la vita cristiana: l’Eucaristia, che rende corporalmente presente il Signore «fonte e culmine della vita della Chiesa», e la Penitenza per la remissione dei peccati. Senza questi due sacramenti, collegati intimamente con l’Ordine, non c’è vera comunità ecclesiale e la vita cristiana è priva dei beni più necessari e preziosi.
Il sacerdote, conformato a Gesù Cristo, sull’esempio di Gesù, è chiamato a testimoniare Gesù e il suo Vangelo con una vita esemplare, tendendo alla santità nell’esercizio della carità pastorale.
Questa testimonianza è di un valore immenso per tutti, anche per la società.
Sembra paradossale che, proprio nell’Anno sacerdotale, siano, invece, venuti alla luce comportamenti degradanti di alcuni membri del clero, che ci hanno turbato, addolorato e umiliato. Anche la società, pur degradata e permissiva in tanti aspetti, in fondo si attende una testimonianza esemplare da parte dei membri della Chiesa. Ma non ci si deve fermare solo al riconoscimento del male, a volte sottolineato anche con finalità denigratorie e scandalistiche, o cedere allo scoraggiamento e alla sfiducia, che non sono atteggiamenti positivi e ispirati da Dio. Questa circostanza va invece interpretata alla luce della fede, non per minimizzarla, ma per cercare di cogliere l’intenzione profonda di Dio. L’intenzione di Dio, nel permettere il male, è bene espressa dal profeta: Dio «non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva» (Ez 33,11).
Dio è come un Padre che educa a vincere il male con il bene. Se permette il peccato e lo fa venire alla luce è, anzitutto, per farci prendere coscienza della sua gravità anche per la sofferenza e tristezza che sempre il male produce. Ma, soprattutto, Dio ci dona la grazia della correzione e della guarigione da esso per intraprendere una vita esemplare e generosa.
Con un retto discernimento prendiamo più viva coscienza della fragilità della nostra natura umana, dell’esigenza di ascesi, di «vigilare e pregare» (Mt 26,41; Mc 14,38), di «essere nel mondo, ma non del mondo» (cf Gv 15,19), di appoggiarci non su noi stessi, ma sulla grazia del Signore, avendo l’umiltà e il coraggio di ricorrere all’aiuto che sempre ci viene offerto.
Accogliamo perciò queste vicende dolorose come un appello per le persone e per la comunità cristiana alla conversione, alla purificazione, al rinnovamento, all’umiltà, alla vigilanza su noi stessi, all’aiuto reciproco.
Viviamo questo momento con fiducia, fondata sulla convinzione di fede che la grazia di Cristo è più abbondante del peccato (cf. Rm 5,20).
Vorrei anche assicurare che nei nostri Seminari si esercita una vigile attenzione pedagogica alle persone e si vive un ambiente sano e sereno, grazie ad educatori ben preparati.
 
1.         In questa ottica, il primo impegno che propongo è di coltivare una vita spirituale profonda e robusta, dando la priorità alla ricerca di una vera intimità con il Signore nella preghiera, poiché «sarà l’esperienza forte e intensa dell’amore del Signore che dovrà portare sacerdoti e consacrati a corrispondere in un modo esclusivo e sponsale al Suo amore» (Benedetto XVI, Omelia, 12 maggio 2010 a Fatima). È nella comunione intima con il Signore che ci ha scelti e sempre ci ama, che troviamo il senso pieno della nostra vita e del nostro ministero, e il nostro cuore trova stabilità e pace. Il lavoro pastorale, l’apostolato devono ricevere linfa dalla comunione con il Signore. È necessario, dunque, dare la priorità alla preghiera personale, all’ascolto meditativo e orante della Parola di Dio, a momenti di adorazione. Richiamo la necessità e l’importanza della partecipazione ai ritiri ed esercizi spirituali, che purtroppo a volte sono disattesi.
Ricordiamoci che la comunione di vita con il Signore, il “rimanere” in Lui, costituisce la condizione necessaria e la sorgente di un apostolato fecondo (cf. Gv 15,1-8).
Permettetemi che richiami il grande valore della Liturgia delle Ore. La Chiesa ne fa un obbligo grave ai ministri ordinati per la ragione che la preghiera di intercessione forma parte integrante del ministero del sacerdote. Pregando il “Breviario” il sacerdote trova un alimento per la sua preghiera personale, prega in unione con tutti i fedeli, dà voce anche a quelli che non pregano mai e intercede per loro e per le necessità del mondo. Il tempo dato alla Liturgia delle Ore, lungi dall’essere tempo sottratto alla pastorale, è tempo autenticamente pastorale.
Ascoltiamo le parole che il Signore rivolge alla Chiesa di Efeso: «Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza, per cui non puoi sopportare i cattivi. Hai messo alla prova quelli che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi. Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, convèrtiti e compi le opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò da te e toglierò il tuo candelabro dal suo posto» (Ap 2, 2-6).
Accogliamo queste parole. Sono parole di Cristo Sposo che ama la Chiesa sua Sposa e desidera ardentemente di essere ricambiato.
Vorrei invitare le comunità monastiche, eremitiche e religiose di vita contemplativa e i fedeli che frequentano l’adorazione eucaristica a pregare più intensamente il Signore per i presbiteri e per le vocazioni al ministero presbiterale.
 
2.         Un secondo impegno particolare che vi propongo è quello della Confessione sacramentale. L’esempio del santo Curato d’Ars e, a noi più vicino, di padre Leopoldo, non sono da considerare superati. Sappiamo che la pratica di questo sacramento risente la crisi odierna del senso di Dio e quindi del peccato, che è mutata l’autocoscienza e la sensibilità delle persone, e che non è facilmente riconosciuta la mediazione sacramentale della Chiesa.
Ma dobbiamo anche essere coscienti che questo sacramento non ha perso per nulla il suo valore e la sua necessità. Vorrei, anzi, dire che oggi ce n’è ancor più bisogno. Tante persone si portano dentro ferite e piaghe profonde, dipendenze da cui non sanno liberarsi, sensi di colpa, angosce e depressioni, atrofia e paralisi spirituale. Le radici di questi mali sono ad un livello non semplicemente psichico, ma si nascondono nelle profondità dello spirito, spesso ignote alla stessa persona. Un buon confessore sa diagnosticare le cause profonde del male e come un vero medico dello spirito dona la grazia del Signore per la guarigione e la pace del cuore, il rinnovamento della volontà per liberarsi dalle schiavitù e vivere nella libertà dei figli di Dio. Ritengo importante richiamare che Dio ha posto la legge del bene nella nostra coscienza e nelle relazioni umane. Il bene può presentarsi come arduo, ma è sempre appagante. La strada del male appare facile e allettante, ma finisce sempre nella frustrazione e nella tristezza. Solo il bene ci rende felici. Certo, è necessario che i presbiteri coltivino la scienza teologica e antropologica per svolgere sempre meglio il delicato ministero della confessione sacramentale e della direzione spirituale, sapendo unire e non separare verità e misericordia.
Vi invito e incoraggio: a) prima di tutto a praticare voi stessi, con buona frequenza, questo sacramento; b) a proporlo ai fedeli con le necessarie motivazioni; c) a mettervi a disposizione, per la celebrazione di questo sacramento, determinando luoghi e tempo in cui i fedeli sanno di trovarvi. Vorrei invitare voi fedeli a ricevere questo sacramento, preparandovi con la preghiera, con un sincero e sereno esame di coscienza davanti al Signore, fiduciosi nella sua misericordia che dona il perdono e la pace del cuore, infonde rinnovato vigore e un’esperienza rigenerante della maternità della Chiesa.
 
3.         Sviluppare la corresponsabilità
Uno degli impegni, che abbiamo preso nel Convegno presbiterale di Asiago (2007), è stato quello di promuovere la corresponsabilità pastorale nel rapporto presbiteri-diaconi-laici, nella reciprocità dei rispettivi ruoli.
Questa corresponsabilità diviene sempre più necessaria data la diminuzione del numero dei preti e corrisponde all’orientamento di valorizzare tutti i ministeri della Chiesa.
L’impegno per rilanciare il ruolo degli organismi di comunione dovrebbe continuare per dare consistenza alle corresponsabilità di tutti.
Questo vale all’interno delle singole parrocchie e ancor più nelle Unità pastorali che sono destinate a crescere, secondo gli orientamenti maturati nell’incontro congiunto del 31 gennaio 2010.
Propongo un rinnovato impegno da parte di noi presbiteri a dare responsabilità ai laici nei loro propri ambiti, curando la loro formazione, senza tuttavia “clericalizzarli”, e sollecito voi diaconi e laici ad assumente generosamente il vostro ruolo, riservando, quindi, al prete il suo ruolo specifico e liberandolo da altre incombenze.
Nei prossimi mesi (settembre-ottobre-novembre) i presbiteri parteciperanno alle settimane di sinodalità a Borca di Cadore, come già abbiamo fatto nel 2001 e 2004 e non potranno quindi essere presenti in parrocchia. Non è un’evasione ma un tempo dedicato ad una più qualificata formazione in vista di compiere meglio la loro missione. In particolare rifletteremo su come attuare la nostra missione in “un mondo che cambia” alla luce della Parola: «Abita la terra e vivi con fede» (Sal 37, 3). Li affido alla vostra preghiera.
Chiedendo la materna intercessione di Maria, Madre della Chiesa, di San Pio X e dei nostri Santi protettori, vi benedico tutti con sincero affetto nel Signore.
 
 
                                                                                              Vescovo Antonio

21 agosto 2010
Festa di San Pio X