Siamo tutti “amputati”…

Il ricordo dell'assistente delle Stampelle Azzurre in ritiro a Camporovere

Per la seconda estate consecutiva le Stampelle Azzurre sono salite in Altopiano per alcuni giorni di ritiro, in vista degli Europei che si terranno in Turchia, dall’1 al 10 ottobre prossimo. Dal 24 al 27 agosto la casa colonia di Camporovere ha ospitato mister, presidente e preparatori atletici della Nazionale Amputati (www.nazionalecalcioamputati.it) ed è stata accompagnata anche dalla presenza dell’assistente: don Federico Fabris, prete della diocesi di Padova e parroco di Camporovere.

Un’amicizia e legame nato nell’ottobre 2015, grazie a un incontro in una parrocchia del vicentino.«Il 13 febbraio 2015 è salito al cielo un giovane ragazzo di Zanè, Michele, dopo una lunga malattia, di 33 mesi – racconta don FedericoPoco dopo la sua dipartita, assieme ai suoi genitori, i preti che lo hanno conosciuto hanno voluto ricordarlo con la pubblicazione di un libro, che sarebbe poi stato fatto conoscere anche attraverso delle presentazioni nelle parrocchie. In una di queste presentazioni, per l’appunto, a Costozza (Vi), vi partecipò una coppia del paese, rimasta molto colpita da questa particolare vicenda. Al termine di tale presentazione, rivolgendosi a me, mi chiese se ero disponibile a conoscere un ragazzo della zona che, fin dalla nascita, aveva avuto dei problemi di salute, a causa di una gamba più corta dell’altra: nonostante 15 operazioni subite, non era stato possibile evincere il problema, se non con l’aiuto di una protesi. Ho dato subito la disponibilità a incontrare lui e la sua famiglia, magari con invito a cena: a tavola, nascono sempre idee e proposte grandi! E così fu: un mese dopo, a cena conobbi questa famiglia, che mi parlò di una particolare Nazionale, nata da pochi anni, dove giocavano ragazzi con amputazioni, a braccia o gambe e piedi; nel 2013 aveva disputato un Mondiale in Messico e nel 2016 avrebbe dovuto disputare il Sei Nazioni in Polonia».

C’era la squadra, mancava però il luogo, dove poter essere ospitati per prepararsi a tale evento.«Senza tanto pensarci su, risposi: “In parrocchia ho una colonia dove anni fa si facevano campiscuola; salite da me, vi ospito io, non è un problema!”. Ed è così che è iniziata questa nuova avventura con la Nazionale Amputati, con il primo appuntamento che è stato pensato, realizzato e riuscito del primo ritiro in Altopiano di Asiago, la scorsa estate».

Il ruolo di assistente e di “guida” è senz’altro di grande provocazione dell’essere prete.«Per me essere presente in mezzo a loro è la cosa più ovvia che ci possa essere! – sottolinea il parroco di Camporovere  –  Al di là dell’ospitalità data, esserci significa condividere con loro la giornata, essere anch’io, con loro, “in ritiro”: pasti, allenamenti, partita, riscaldamento, serata a passeggio. Anche se “normodotato”, posso perfettamente condividere quanto loro fanno, nella semplicità. Si favorisce così l’ascolto, la conoscenza: alcuni di loro hanno davvero storie di sofferenza alle spalle, e, spessissimo, senza parlare loro di Vangelo, arrivano loro stessi a chiedere informazioni o curiosità su fede e argomenti inerenti. In questi due anni c’è chi è passato dal non andare in chiesa da circa 27 anni, a proclamare il salmo nella messa; altri, ancora, hanno chiesto di confessarsi dopo molti anni, o di servire all’altare come ministrante, nella celebrazione… Come prete, ritengo sia doveroso esserci: questi atleti hanno trasformato un loro limite in una grande risorsa, da loro c’è tantissimo da imparare, dall’abbassarsi a legare i lacci di una scarpa, all’intuire come, con una sola gamba, che finta ti può fare chi hai di fronte, nei pressi dell’area di rigore».

Don Federico si riconosce anche lui “amputato”. E il confronto con il mondo e la contigenza della disabilità apre anche a riflessioni pastoraliQuest’amicizia e vicinanza alle Stampelle Azzurre mi aiuta a riconoscere anche me come “amputato”: loro, evidentemente, a un braccio, una gamba, o un piede; ma in me, in noi, “normali”, quali amputazioni ci sono? Magari non fisiche, ma nel carattere, nell’animo.  A livello pastorale è un’ottima occasione per misurarsi con persone che hanno dovuto scontrarsi sicuramente anche con l’ambito della fede, in certi contesti tralasciata negli anni, in conseguenza di un incidente, o di qualche errore medico nella cura, o per solitudine nell’affrontare la nuova situazione. Diventa, perciò, opportunità di dialogo, di ascolto, di crescita. Come la preghiera prima dei pasti, durante il ritiro, introdotte dai membri stessi della Nazionale, atleti o mister. Così il ministero diventa più coerente ed efficace. Essere presenti nelle circostanze dove vi è sofferenza dà qualcosa in più: per me, in particolare, è un sentirmi parte integrante di questa squadra particolare! E se, come pastori, non siamo presenti in realtà come queste, dove dovremmo essere presenti?».

Cosa dice, quindi, la disabilità alla Chiesa?«La invita a guardare e adoperare non ciò che manca, ma ciò che c’è! – afferma con forza l’assistente – Se ci fermassimo all’arto mancante, dovremmo concludere che il calcio non può essere uno sport per queste persone, e chissà come vivono, lavorano, si arrangiano nelle più elementari azioni quotidiane. Guardiamola da una prospettiva diversa: mentre chi si ferma a guardare ciò che manca a questi atleti, essi, con ciò che hanno, partono in contropiede e ti segnano reti decisive e son capaci di capolavori balistici! Una cosa è sentirne parlare, di tale Nazionale; un’altra, è vederne i filmati; un’altra ancora è vederla giocare dal vivo; ma quella più bella e che dà soddisfazioni immense è il giocarci assieme! E, io, in ogni occasione scendo in campo con loro, per promuovere il bello, la gioia e la passione per il calcio! Sii presente, Chiesa, dove c’è una periferia sconosciuta: è proprio lì che Gesù si fa trovare nei modi più impensati e incredibili!».

Claudia Belleffi