L'omelia del vescovo Antonio per il 25° di ordinazione episcopale

 

Saluto con affetto sincero e con viva riconoscenza tutti voi carissimi fratelli e sorelle, che partecipate a questa Eucaristia di lode e grazie al Signore per il 25° anniversario della mia ordinazione episcopale.
Vedo qui rappresentata la Chiesa nella varietà e unità del suo mistico Corpo: Vescovi, abati, superiori religiosi, presbiteri, diaconi, consacrati/e nella sequela radicale di Cristo, fedeli laici, associazioni, movimenti e aggregazioni. Saluto e ringrazio il sindaco di Padova presente a questa celebrazione.
Questa realtà mi riempie il cuore di gioia e di benedizione. Il Vescovo senza il suo popolo non avrebbe ragione di essere. Per questo non potrei adeguatamente celebrare il giubileo d’argento episcopale se non con voi, in comunione intima di affetto, di fede e preghiera insieme con voi.
Grazie, dunque, di vero cuore a tutti voi che siete la mia famiglia spirituale che sento oggi tanto vicina.
Nella lettera che mi ha benevolmente inviato per il giubileo d’argento episcopale, il Santo Padre Benedetto XVI mi invitava a rendere grazie al Signore con le parole del Salmo (116). Lo faccio unito a tutti voi: «Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. Adempirò i miei voti al Signore, davanti a tutto il suo popolo» (Sal 116,12-14).
Ho davvero tanti motivi per rendere grazie al Signore. Grazie perché mi ha scelto senza alcun mio merito per essere Sacerdote e Sacerdote incardinato nella Diocesi di Padova, mentre potevo scegliere un’altra Diocesi. Grazie per la robusta formazione ricevuta nel Seminario di Padova, che mi ha sostenuto nell’esercizio del ministero sacerdotale in situazioni a volte difficili. Grazie per aver conosciuto da vicino il grande papa Paolo VI e aver svolto il mio servizio alla Chiesa universale accanto a Giovanni Paolo II per cinque anni.
L’elezione e l’ordinazione a Vescovo l’ho vissuta trepidazione, consapevole della grave responsabilità, affidandomi alla grazia del Signore.
Dovendo scegliere un motto per lo stemma, ho preso il versetto «ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1,10). Ho pensato che se questo è il programma eterno di Dio Padre nella creazione e redenzione dell’umanità, io non potevo averne uno di diverso.
Mi piace moltissimo l’idea di fare di Cristo il cuore del mondo. Solo così Cristo è completo e il mondo trova la sua realizzazione. La seconda ragione della scelta era che il ricapitolare in Cristo tutte le cose era il versetto biblico più citato dal Concilio Vaticano II e ne ispirava tutta l’impostazione.
È, dunque, un programma teologico e pastorale, una chiave di lettura e interpretazione della storia della salvezza.
Per circostanze particolari – dovendo arrivare in Costa d’Avorio prima della fine del 1985 – sono stato ordinato non a Roma il 6 gennaio, ma a Padova dal Card. Agostino Casaroli il 14 dicembre, essendo conconsacranti il Vescovo Bortignon e il Vescovo Franceschi. In Africa, dove giunsi il 28 dicembre, mi trovai perfettamente a mio agio ed ero pieno di entusiasmo nello svolgere la missione affidatami.
La nomina a Padova mi giunse totalmente inaspettata, come un fulmine a ciel sereno, nel giro di due telefonate, senza che praticamente potessi riflettere. Il Papa voleva che la Diocesi di Padova non rimanesse ulteriormente orfana di vescovo. La nomina fu pubblicata, senza pensarci, il giorno del mio giubileo sacerdotale, 5 luglio 1989.
Il Card. Casaroli, quando lo incontrai dopo che Giovanni Paolo II mi nominò Vescovo di Padova, ebbe a dirmi: «Adesso capisco perché sono venuto ad ordinarti Vescovo a Padova».
Il 17 settembre feci il mio ingresso in Diocesi.
Ho imparato un po’ alla volta ad essere Vescovo, l’ho imparato dalla fede e insieme dalla vita con le sue prove. Rimango ancora sorpreso quando leggo e rifletto su quello che sono e dovrei essere: successore degli Apostoli, segno vivo di Cristo, Pastore e Sposo della Chiesa, posto dallo Spirito Santo come custode e guida della Chiesa (cf. At 20,28).
Padre e Pastore di questa Chiesa che è in Padova: Chiesa di S. Prosdocimo e S. Giustina, di S. Antonio, di S. Gregorio Barbarigo, di tante splendide figure e testimoni luminosi di Vescovi, di preti, di religiosi, di laici, Chiesa che ha scritto pagine ammirevoli di storia.
Mi sento figlio di questa Chiesa e insieme suo custode e guida.
L’Ordinazione episcopale ha inserito la grazia particolare dello Spirito Santo nella mia umanità. Oggi non credo soltanto per fede che lo Spirito Santo mi ha assistito, lo so per averlo sperimentato in tante circostanze. Ma ho anche sperimentato che sono rimasto con la mia umanità, il mio carattere, le mie qualità, ed insieme i miei limiti, i miei difetti e le mie inconsistenze. Questa consapevolezza mi umilia e mi induce oggi a chiedere la vostra benevola comprensione e il vostro generoso perdono.
Mi ha recato conforto un giorno l’Abbé Pierre che ho incontrato all’Abbazia di Praglia. Dopo che mi sono presentato come Vescovo di Padova, mi ha subito detto: «Monseigneur, j’ai beaucoup de compassion pour les Évêques». Ho capito che era un uomo profondamente spirituale.
L’inizio del mio ministero episcopale a Padova è stato segnato da alcuni eventi che mi hanno impressionato. La caduta del muro di Berlino, alla fine del 1989, mi fece capire che finiva un’epoca e se ne apriva un’altra per la Chiesa e l’umanità. La vicinanza a Giovanni Paolo II già m’aveva preparato a comprendere questo evento. Nel febbraio successivo organizzai il Convegno: “Vento nuovo dall’Est” e quindi feci una prima visita all’Europa dell’Est, in Ungheria, ampliandola successivamente alla Romania, Russia, Ucraina.
Tra la fine di aprile e il 1° maggio 1990 si tenne il Convegno di Aquileia, che riunì le 15 Diocesi del Triveneto. Fu un’esperienza che mi segnò profondamente. Oggi sono l’unico Vescovo ancora in funzione dopo il 1° Convegno, come memoria storica, promotore del II Convegno di Aquileia e trait d’union episcopale tra i due.
I più che vent’anni di servizio episcopale a Padova sono stati molto intensi, in ragione della vita ecclesiale ricca di iniziative e impegni e dei profondi cambiamenti nella società.
Ringrazio il Signore di aver goduto di buona salute, di aver lavorato con impegno, di non sentirmi stanco né fisicamente né spiritualmente.
La stessa vivacità della Diocesi mi tiene sveglio e mi stimola continuamente.
Non è questo il luogo per un bilancio complessivo, che del resto, sarebbe parziale e provvisorio.
Vorrei tuttavia ricordare la Visita pastorale che mi ha tenuto impegnato per 16 anni, consentendomi di conoscere capillarmente la realtà viva delle parrocchie e della vita civile e sociale del vasto territorio della nostra Diocesi, in un contatto vivo con le persone.
Gli ambiti molteplici dell’azione pastorale che maggiormente mi hanno coinvolto sono stati:
        la formazione del Clero, con l’apertura della Casa S. Andrea, la costituzione dell’Istituto S. Luca per la formazione permanente del Clero; lo sviluppo del Diaconato permanente. La formazione teologica con la Istituzione della Facoltà Teologica del Triveneto.
        l’educazione, e quindi la catechesi, il Catecumenato e la scuola;
        la carità, espressa in particolare con la costruzione della casa Teresa di Calcutta;
        la spiritualità, anche favorendo la vita monastica e consacrata;
        la missionarietà, sostenendo le missioni tradizionali e aprendo la missione in Thailandia nel cuore dell’Asia;
        l’Ecumenismo, in particolare il dialogo con la Chiesa Ortodossa;
        la pastorale cittadina e il dialogo con le istituzioni e la società;
        l’impegno con i mass media e l’avvio di Telechiara a seguito del convegno di Aquileia
Sono ben consapevole che non avrei potuto compiere il mio ministero di vescovo senza l’aiuto di tanti collaboratori competenti, generosi e dinamici, della Curia e Uffici diocesani, senza gli Organismi di partecipazione, i Vicari foranei, l’aiuto preziosissimo e quotidiano dei parroci, l’AC e le Aggregazioni laicali. Per questo sono profondamente riconoscente a tutti voi.
Non dimentico e sono profondamente grato a tutti che mi hanno sostenuto spiritualmente e moralmente con la loro preghiera, specialmente nelle prove, tribolazioni e sofferenze che non sono mancate.
Oso confessare che amo profondamente questa Chiesa e tutti voi che la rappresentate, cercando di partecipare allo spirito di Gesù cha «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (cf. Ef 5,25).
Considero una grazia e un privilegio donare la mia vita, il mio cuore e le mie energie per questa Chiesa che è in Padova e per tutti voi.
Con questa Chiesa, con voi ho camminato un buon tratto della storia della salvezza.
Siamo consapevoli delle grandi necessità e delle acute sfide che il nostro tempo e la nostra società pongono alla missione della Chiesa, ma siamo animati da una speranza affidabile fondata saldamente sul Cristo Risorto.
L’Avvento che viviamo nella Liturgia rafforza in noi la speranza, una speranza affidabile. Il Signore viene in questo nostro tempo ed ha la capacità anche di far fiorire il deserto e fecondare la terra arida (1ª Lettura, Is 35,1).
Non c’è situazione negativa che Egli non possa guarire e salvare (Cf. Vangelo Mt 11,4-6).
«Accogliamo perciò con rendimento di grazie l’Evangelo di gioia» (Colletta) che Egli ci dona. Uniti nella comunione fraterna, affidandoci all’amore sconfinato di Cristo, alla potenza dello Spirito Santo e all’intercessione materna di Maria, avanziamo fiduciosi verso il domani.
Grazie, grazie di cuore a tutti.
 
 
                                                                                                                                           Antonio Mattiazzo