Un'intervista inedita a don Ruggero Ruvoletto

Di seguito uno stralcio di un’intervista inedita a don Ruggero Ruvoletto, raccolta nel 2006 da Martina Pegoraro (prima della sua esperienza a Manaus), che sarà pubblicata integralmente sul prossimo numero della Difesa del popolo (domenica 27 settembre 2009).
 

Don Ruggero, com’è nata la sua scelta missionaria?

«È nata con la mia stessa ordinazione. È una vocazione che è cresciuta in me, sia per disponibilità personale, sia per risposta all’invito della chiesa ad essere prete per il mondo. Accanto al vescovo Franceschi e nell’incontro con molti missionari nella diocesi di Padova, si è accentuato il mio desiderio di condividere la fede, la vita, il tempo, il servizio. Aggiungo che se non ci fosse stato l’invio in missione, avrei accettato lo stesso la situazione perché comunque oggi la missione è la stessa vita della chiesa, è accogliere lo straniero, è fare un cammino educativo, è favorire la promozione umana. Non è più una questione di chilometri, spazi, oceani, culture…».

Quale arricchimento le ha portato finora questa esperienza?
 «Sono stato ben accolto e molto aiutato dalla gente. Ho conosciuto la positività del Brasile. Doni che ho ricevuto qui sono stati senz’altro l’incontro con il protagonismo dei laici, la chiesa di popolo, le comunità di base, e poi vedere la serenità tipica con cui i brasiliani affrontano le difficoltà, osservarli muoversi tra i problemi economici, lavorativi, quotidiani, con disponibilità interiore. Altri doni sono la percezione del binomio tra fede e vita, impegno nella chiesa e apertura sociale e politica, ma anche il fatto di non contare su molte strutture esterne e mezzi, bensì sulla condivisione della vita con i confratelli locali e con la gente. Il dono per noi come cristiani, è di poter stare al fianco di persone, vescovi e preti, per costruire assieme la chiesa locale».

Quale situazione ha trovato al suo arrivo in Brasile?
«Positiva per il lavoro fatto da chi c’era prima, in una diocesi (Itaguaì) in cui le pastorali sociali hanno avuto molto spazio. Tuttavia l’eredità culturale, sociale, politica è pesante. Questa è una zona di sopraffazione e fragilità dei diritti delle persone, dove la democrazia deve ancora maturare. Ho trovato grave il problema della terra, del lavoro, dei diritti; ho visto fatica nella partecipazione, padroni che comandano, fazendas ancora di tipo patriarcale e la crisi dei pescatori e dei contadini… I giovani devono emigrare per sopravvivere, la violenza è diffusa. Alcolismo, droga e prostituzione sono piaghe sociali. In tutto questo la chiesa cattolica ha avuto negli anni passati un forte coinvolgimento, che successivamente si è indebolito. In questa zona, come in tutto il Brasile, fioriscono nuove chiese e sette, presenza che esprime un bisogno, un grido che viene dal profondo delle persone. In tale contesto emerge la fragilità della chiesa cattolica. Debolezza di pastorali e frantumazione comportano che le persone non abbiano più un grande senso di appartenenza. Un prete di una chiesa sorella qui in missione, conosciuto l’entusiasmo, l’apertura e il coinvolgimento dei laici, adesso si pone il problema di come mantenere viva questa fiamma, di come essere accanto alla gente, di come non rinnegare le grandi intuizioni evangeliche di un cristianesimo socialmente presente, culturalmente attivo, politicamente propositivo. Non possiamo fare solo un discorso di formazione astratta e poi non assumerci degli impegni, anche dal punto di vista del magistero sociale della chiesa».

Quali progetti ha realizzato nella comunità?
«Ho trovato che in molte parrocchie di questa zona si continua a valorizzare un cammino iniziato prima, anche nella diocesi, che mira a fortificare le piccole comunità, dotandole delle strutture essenziali di presenza, incontro, attenzione ai ragazzi e ai giovani. In questi anni sono state curate le strutture dal punto di vista della catechesi, della celebrazione e della promozione umana. Sono stati completati lavori iniziati in precedenza anche grazie alla Provvidenza che ho ricevuto da parte di tante persone e gruppi della diocesi di Padova».